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      Amalia parlava con qualcuno: – Sì, sì, è proprio quello ch'io voglio aveva detto con voce chiarissima e calma.
      Egli corse a prendere la candela e ritornò. Amalia era sola. Sognava. Giaceva supina, uno dei bracci esili denudato piegato sotto il capo, l'altro steso sulla coperta grigia lungo il corpo. La mano cerea era incantevole sulla coperta grigia. Non appena la sua faccia fu tocca dalla luce, ella tacque, il suo respiro divenne più affannoso; fece più volte il tentativo di lasciare quella posizione divenutale incresciosa.
      Egli riportò il lume nella propria stanza e s'accinse a coricarsi. I suoi pensieri avevano presa finalmente una nuova direzione. Povera Amalia! Neppure per lei la vita doveva essere troppo lieta. Il sogno che, a quanto potevasi arguire dalla voce, doveva essere lieto, non era altro che la naturale reazione alla triste realtà.
      Poco dopo, quelle stesse parole, calme, quasi sillabate, echeggiarono di nuovo nella stanza vicina. Seminudo tornò alla porta. Un certo nesso non v'era fra le singole parole, ma (come dubitarne?) ella parlava con persona che amava molto. Nel suono e nel senso v'era una grande dolcezza, una grande condiscendenza. Per la seconda volta ella disse che l'altra persona – quella cui ella immaginava di parlare – aveva indovinati i suoi desideri: – E proprio così che faremo? Non lo speravo! – Poi un intervallo, interrotto però da suoni indistinti, per cui si capiva che il sogno continuava sempre, e di nuovo altre parole ch'esprimevano sempre lo stesso concetto.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





Amalia