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      – Questa frase era alquanto debole ma molto esatta, in un rimprovero amoroso anche troppo. Infatti egli non aveva altro diritto al quale appellarsi che il fatto di averle detto d'amarla.
      Sentendo che la parola, causa il proprio spirito analitico, in quella situazione lo tradiva, ricorse immediatamente a quello ch'egli sapeva essere la sua forza principale: l'abbandono. Fino a poco prima, godendo della tristezza di Angiolina, aveva pensato di non lasciarla che molto più tardi. Aveva sperato in una scena ben diversa. Ora sentiva una minaccia. Egli stesso aveva alluso alla propria mancanza di diritti, ed era possibilissimo ch'ella, essendo a corto d'argomenti, accettasse il suggerimento e gli chiedesse: – E tu che cosa hai fatto per me per esigere ch'io mi conformi al tuo volere? – Fuggì questo pericolo: – Io la saluto – disse gravemente. – Quando avrò riacquistata la mia calma potremo anche rivederci. Ma per lungo tempo è meglio che restiamo divisi.
      Uscì, ma non senza averla ammirata per un'ultima volta pallida com'era, gli occhi sbarrati quasi per spavento, e forse indecisa se dirgli ancora qualche bugia per tentare di fermarlo. Lo slancio con cui uscì da quella casa lo portò lontano. Ma, sempre camminando con lo stesso aspetto di risolutezza, egli rimpiangeva amaramente di non poter vederla più a lungo nel dolore. Nelle orecchie gli si ripercoteva il suono d'angoscia ch'ella aveva emesso al vederlo allontanarsi, ed egli l'ascoltava per imprimerselo sempre meglio nella memoria.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





Angiolina Fuggì