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      Oh, quale azione intelligente! Aveva punito se stesso. Tutti l'avevano posseduta meno lui. Perciò il deriso fra tutti quegli uomini non era che lui. Ricordò che fra giorni il Volpini sarebbe venuto a prendersi l'anticipazione pattuita; proprio a tempo egli s'era pensato d'adirarsi di cose che aveva sempre sospettate. Che cosa avrebbe fatto Angiolina dopo di essersi data al sarto? Era troppo naturale ch'essendosi data a costui per tradirlo più facilmente, ella l'avrebbe tradito con altri visto ch'Emilio giusto allora l'aveva abbandonata. Per lui era perduta. Vedeva tutto il futuro dinanzi agli occhi come se stesse succedendo a pochi passi da lui, sul Corso. La vedeva uscire dalle braccia del Volpini nauseata di costui e cercare immediatamente un posto di rifarsi altrove di tanta infamia. Ella lo avrebbe tradito e questa volta con ragione.
      E non era il solo mancato possesso che formava la sua disperazione. Fino allora egli s'era beato al ricordo di quel suono d'angoscia ch'egli aveva tratto da lei. Ma che cosa poteva significare quello, nella vita di una donna che fra le braccia d'altri avrebbe ben altrimenti goduto e sofferto? Non c'era la possibilità di ritornare sui propri passi. Gli bastava, per respingere questa tentazione, di ricordare quello che ne avrebbe detto il Balli.
      Pensò che se non avesse avuto accanto quel giudice severo, egli non si sarebbe curato della dignità ora che comprendeva che con quel tentativo di risollevarla, aveva legato più abiettamente che mai ogni suo pensiero, ogni desiderio ad Angiolina.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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