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      Emilio disse di sì con qualche vanteria, ma poi sarebbe stato imbarazzato di dire anche una sola altra parola su quel tono.
      Amalia ritornò molto presto. Raccontò della disputa che aveva avuta col fratello a mezzodì. Disse ch'era un grave torto di dar colpa ad una donna che il pranzo non fosse pronto. Dipendeva dalla forza del fuoco, e nelle cucine il termometro non era stato ancora introdotto. – Del resto – aggiunse sorridendo affettuosamente al fratello – non c'è da fargliene carico. Era venuto a casa di tale umore che se non avesse trovato uno sfogo gli avrebbe fatto male.
      Non parve che il Balli volesse mettere in relazione il malumore di cui gli si parlava, con gli avvenimenti della sera prima. – Anch'io oggi ero di pessimo umore – disse per tenere la conversazione su un tono leggero.
      Emilio protestò d'essere stato d'umore ottimo. – Non ricordi l'allegria che avevo questa mane?
      Amalia aveva raccontata la storia della loro disputa con molta grazia; si capiva che parlandone aveva voluto soltanto divertire il Balli. Aveva dimenticato ogni risentimento, e non ricordava neppure ch'egli le avesse domandato scusa. Egli se ne sentiva profondamente offeso.
      Quando i due uomini si trovarono soli sulla via, il Balli disse – Guarda come siamo liberi ora tutt'e due, non è meglio così – e s'appoggiò affettuosamente al braccio dell'amico.
      Ma l'altro non l'intendeva così. Comprese ch'era suo dovere di mostrarsi altrettanto affettuoso e disse: – Certo. È meglio così, ma io saprò apprezzare questo novello stato soltanto di qui a molto tempo.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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