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      Sarebbe stato un grande sollievo per lui vederla piangere, udirne qualche suono di dolore. Ma per molto tempo non ebbe tale soddisfazione. Rincasava ogni giorno preparato al dolore di vederla piangere, confessare la sua disperazione, e invece la trovava tranquilla, abbattuta, sempre gli stessi movimenti lenti di persona stanca. Ella attendeva con la solita apparente cura ai lavori di casa, e ne parlava di nuovo ad Emilio come altre volte quando i due giovani, trovatisi soli, avevano cercato di abbellire la piccola loro dimora.
      Era un incubo di sentirsi accanto tanta tristezza senza parole. E come doveva essere forte quel dolore certo rincrudito dai dubbi più diversi. Ad Emilio sembrava persino ch'ella potesse dubitare della verità, e si sentiva in pericolo di dover spiegare l'azione da lui commessa, la quale a lui stesso pareva già incredibile. Talvolta ella posava su lui gli occhi grigi, sospettosi, indagatori. Oh, quegli occhi là non crepitavano. Guardavano le cose, gravi e fisi, a cercarvi la causa di tanti dolori. Egli non ne poteva più.
      Una sera in cui il Balli era impegnato – con qualche donna probabilmente – egli risolse di restare con la sorella. Ma poi gli fu penoso di starle accanto nel silenzio che regnava fra loro tanto di frequente, condannati com'erano a tacere di quello ch'era il loro pensiero dominante. Prese il cappello per uscire.
      – Dove vai? – chiese ella che si divertiva a picchiare sul piatto con la forchetta, la testa abbandonata su un braccio. Bastò perché egli perdesse il coraggio di andarsene.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





Emilio Emilio Balli