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      – Lo sentiva ben suo, e se anche non ne abusava, perché non era del suo carattere di gioire della forza, di usarne per provarla, ma bensì di goderne per vivere meglio e più lieta, abbandonò ogni riguardo. Giungeva in ritardo agli appuntamenti quantunque lo trovasse ogni volta con gli occhi fuori dalla testa, febbricitante, violento. Divenne sempre più rozza. Quando era stanca delle sue carezze lo respingeva con violenza tanto ch'egli, ridendo, le disse di temere che prima o poi ella l'avrebbe bastonato.
      Non poté accertarsene, ma gli parve che Angiolina e la Paracci, la donna che gli dava a fitto quella stanza, si conoscessero. La vecchia guardava Angiolina con una certa aria materna, ne ammirava i capelli biondi e i begli occhi. Angiolina poi diceva bensì che l'aveva conosciuta in quei giorni, ma tradì di conoscerne la casa, ogni più recondito suo angolo. Una sera, in cui ella arrivò più tardi del solito, la Paracci li sentì litigare e intervenne risolutamente a favore di Angiolina. – Come si fa a rimbrottare a quel modo quest'angelo? – Angiolina che non rifiutava omaggi da qualunque parte venissero, stette a udirla, subito sorridente: – Senti? Dovresti imparare. Egli stava a udire infatti, stupefatto dalla volgarità della donna amata.
      Convinto oramai di non poterla elevare in alcun modo, sentiva talvolta, violentissimo, il bisogno di scendere a lei, al di sotto di lei. Una sera ella lo respingeva. S'era confessata e per quel giorno non voleva peccare. Egli ebbe meno vivo il desiderio di possederla che di essere, almeno una volta, più rozzo di lei.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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