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      I capelli erano destinati a negare la preghiera che la faccia avrebbe espressa.
      Angiolina ritornò alla posa e il Balli al lavoro. Per una mezz'ora ella posò con tutta coscienziosità, figurandosi di pregare, come le aveva ordinato lo scultore, per avere un'espressione di supplice nella faccia. A Stefano quell'espressione non piaceva, e non visto che da Emilio, ebbe un gesto di esecrazione. Quella beghina non sapeva pregare. Piuttosto che rivolgerli piamente, ella lanciava con impertinenza gli occhi in alto. Civettava col Signor Iddio.
      La stanchezza d'Angiolina cominciò a tradirsi nel respiro affannoso. Il Balli non se ne accorgeva affatto, essendo giunto a un punto importante del suo lavoro: piegava quella povera testa sulla spalla destra, senza pietà. – Molto stanca? – chiese Emilio ad Angiolina e, poiché il Balli non lo vedeva, le accarezzò e sorresse il mento. Ella mosse le labbra per baciare quella mano, ma non mutò di posizione. – Posso resistere ancora per un poco. – Oh, come era ammirabile, sacrificandosi a quel modo per un'opera d'arte. Se egli fosse stato l'artista, avrebbe considerato quel sacrificio come una prova d'amore.
      Poco dopo, il Balli concesse un breve riposo. Egli stesso non ne sentiva certo il bisogno e nel frattempo si diede da fare intorno alla base. Nel suo lungo mantello di tela egli aveva un aspetto sacerdotale. Angiolina, seduta accanto ad Emilio, guardava lo scultore con malcontenuta ammirazione. Era un bell'uomo, con quella sua barba elegante, brizzolata, ma dai riflessi d'oro; agile e forte saltava dal bilico e vi risaliva senza che la statua si scuotesse, ed era la personificazione del lavoro intelligente, in quella sua rude veste da cui sporgeva l'elegante solino.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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