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      Anche Emilio lo ammirava, soffrendone.
      Si ritornò presto al lavoro. Lo scultore schiacciò ancora un poco la testa, senza curarsi se così le faceva perdere quel po' di forma che aveva avuta. Aggiunse dell'argilla da una parte, ne tolse dall'altra. Si doveva supporre che copiasse, visto che guardava spesso il modello, ma ad Emilio non parve che l'argilla riproducesse alcun tratto della faccia d'Angiolina. Quando Stefano finì di lavorare, glielo disse, e lo scultore gl'insegnò a guardare. Per il momento la somiglianza non esisteva, che quando si guardava quella testa da un solo punto. Angiolina non si riconobbe e le dispiacque anzi che il Balli credesse di aver ritratta la sua faccia in quella cosa informe. Emilio vide quella somiglianza evidentissima. La faccia pareva addormentata, immobilizzata da una fasciatura aderente, gli occhi, non fatti, sembravano chiusi, ma si capiva che l'alito vitale stava per animare quel loto.
      Il Balli avvolse la figura con un lenzuolo bagnato. Era soddisfatto del proprio lavoro, e ne era agitato.
      Uscirono insieme. L'arte del Balli era veramente l'unico punto di contatto fra i due amici; parlando dell'idea dello scultore, si sentirono riavvicinati e, per quel pomeriggio, i loro rapporti ebbero una dolcezza, quale non avevano avuta da gran tempo. Perciò chi fra i tre si divertì meno fu Angiolina, la quale si sentiva quasi il terzo incomodo. Il Balli, cui non piaceva di farsi vedere in quella compagnia nelle vie ancora chiare, volle ch'ella li precedesse, ciò ch'ella fece, ritta sdegnosamente, il nasino all'aria.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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