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      Al ritorno il Balli raccontò che quella sera doveva andare al veglione; ne era seccatissimo, ma ne aveva preso impegno con un amico, un dottore in medicina, che per divertirsi al veglione diceva d'aver bisogno della compagnia rispettabile di un uomo come lo scultore, acciocché i suoi clienti scusassero più facilmente la sua presenza in quel luogo.
      Stefano avrebbe preferito di coricarsi di buon'ora per ritornare il giorno appresso al lavoro con la mente fresca. Gli venivano brividi al pensiero di dover passare tutte quelle ore in mezzo al baccanale.
      Angiolina chiese se egli avesse il palco per tutta la stagione e volle poi sapere esattamente in quale posizione. – Spero bene disse il Balli ridendo – che se ti mascheri mi verrai a trovare
      – Non sono mai stata ad un veglione – assicurò Angiolina con grande vigore. Poi aggiunse, dopo averci pensato come se avesse scoperto allora che c'erano dei veglioni: – Mi piacerebbe tanto di andarci. – Fu stabilito subito, subito: sarebbero andati al veglione che si dava la settimana ventura a scopo di beneficenza. Angiolina spiccava dei salti dalla gioia, e parve tanto sincera che persino il Balli le sorrise con affabilità, come a un bambino cui si è lieti di aver dato con piccolo sforzo un grande piacere.
      Allorché i due uomini rimasero soli, Emilio riconobbe che la seduta non gli era dispiaciuta. Il Balli, congedandosi, convertì in fiele la dolcezza goduta quel giorno, dicendogli: – Sei stato contento di noi? Riconoscerai che ho fatto del mio meglio per soddisfarti.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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