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      Perciò penetrò in quelle frasi qualche cosa di Angiolina. Gli venivano alla penna dei grossi paroloni ed egli li lasciava correre beato di vederla estatica dall'ammirazione, con la stessa espressione con la quale giorni prima aveva guardato, nello studio, il Balli.
      Poi, senza rileggerla, ella si mise a copiare quella prosa, soddisfattissima di potervi apporre la propria firma. Ella era apparsa ben più intelligente quando aveva ragionato sul modo di comportarsi, che non ora nella sua incondizionata approvazione. Copiando non seppe dare alla lettera la sua attenzione, perché la calligrafia le dava molto da fare.
      Guardando l'esterno della busta chiusa, ella chiese improvvisamente se il Balli non avesse più parlato del veglione cui aveva promesso di condurla. Il moralista che sonnecchiava in Emilio non si destò, ma egli sconsigliò di andare a quel veglione per la paura che il Volpini lo risapesse. Ella però aveva delle risposte che toglievano qualunque dubbio. – Adesso poi ci vado al veglione. Finora, per rispetto a quell'infame, non ci ero andata, ma adesso! Magari lo risapesse.
      Emilio insistette per vederla quella sera. Nel pomeriggio ella doveva posare al Balli, poi doveva correre un istante dalla signora Deluigi; perciò non potevano trovarsi che tardi. Ella accordò l'appuntamento visto che – come dichiarò – per il momento, non sapeva negargli nulla; ma non nella stanza della Paracci, perché voleva essere a casa di buon'ora. Come nei tempi migliori del loro amore, avrebbero passeggiato insieme a Sant'Andrea, e poi egli l'avrebbe accompagnata a casa.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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