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      In lontananza Emilio vide sul cielo fosco la cima di un'altura gialla di luce morente.
      Amalia delirava come prima. Riudendone la stanca voce, dall'identico suono dolce, la stessa modulazione puerile interrotta dall'affanno, egli comprese che mentre fuori egli aveva sperato pazzamente, in quel letto l'ammalata non aveva trovato un istante di tregua.
      La signora Elena era legata al letto perché la testa dell'ammalata riposava sul suo braccio. Raccontò però che poco dopo la sua uscita, Amalia aveva respinto quel guanciale divenutole increscioso; ora l'aveva riaccettato.
      Veramente l'ufficio della buona signora sarebbe stato finito, ed egli lo disse esprimendole un'infinita riconoscenza.
      Ella lo guardò coi suoi buoni piccoli occhi e non mosse il braccio su cui la testina di Amalia si muoveva inquieta.
      Domandò: – E chi mi sostituirà? – Udito ch'egli aveva l'intenzione di rivolgersi al dottore per un'infermiera a pagamento, ella pregò con calore: – Allora permetta a me di restare qui. – E ringraziò quando egli, commosso, le dichiarò che non aveva mai pensato di mandarla via, ma che aveva temuto di disturbarla trattenendola. Le domandò poi se le occorresse di avvisare qualcuno della ragione della sua assenza. Con semplicità ella rispose: – Non ho nessuno in casa che possa essere sorpreso della mia assenza. Si figuri che la fantesca è entrata in servizio in casa mia quest'oggi.
      Poco dopo Amalia portò la testa sul guanciale e il braccio della signora fu libero. Allora finalmente poté levarsi il cappellino di lutto e, riponendolo, Emilio ringraziò di nuovo, perché gli sembrava che quell'atto confermasse la determinazione da lei presa di rimanere accanto a quel letto.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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