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      Sarebbe bastato a dargli il sentimento della felicità per tutta la vita. Non era la gioia inaspettata, il dono generoso della provvidenza quale egli s'era augurato? La speranza per un istante fu piena; se avesse visto Amalia camminare, se l'avesse udita parlare assennatamente, non ne avrebbe potuto provare una maggiore.
      Ma il Carini non aveva detto tutto. Egli non ammetteva che la malattia fosse scoppiata quel giorno. Già violenta doveva essersi manifestata uno o forse anche due giorni prima.
      Di nuovo Emilio doveva scolparsi di quel passato che giaceva tanto lontano da lui. – Potrebbe essere – ammise – ma mi pare difficile. Se è scoppiata ieri, deve essere stato in modo sì lieve ch'io non me ne sia potuto accorgere. – Poi, offeso da una occhiata di rimprovero del Balli, aggiunse: – Non mi pare possibile.
      Ruvidamente, col tono che tutti da lui tolleravano, il Balli disse al dottore: – Sai, noi di medicina non ne sappiamo niente. Questa febbre durerà sempre, finché non cessi la malattia? Non vi saranno delle soste?
      Il Carini rispose che sul decorso della malattia egli non poteva dir nulla. – Mi trovo dinanzi ad un'incognita, a una malattia di cui non conosco che il momento presente. Ci sarà crisi? E quando? Domani, questa sera, di qui a tre o quattro giorni, che ne so io?
      Emilio pensò che tutto ciò autorizzava le più ardite speranze e lasciò il Balli a continuare l'interrogatorio del medico. Egli si vedeva accanto Amalia guarita, assennata, ridivenuta capace di sentire il suo affetto.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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