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      Aveva sentita una grande consolazione percependo della riconoscenza nella voce di Amalia. Poi aveva dimenticato quell'istante, e non aveva più cercato di ripeterlo. Oh, se egli avesse saputo che nella sua vita c'era una missione tanto grave come quella di tutelare una vita affidata unicamente a lui, egli non avrebbe più sentito il bisogno di avvicinarsi ad Angiolina. Ora, troppo tardi forse, era guarito di quell'amore. Pianse in silenzio, nell'ombra, amaramente.
      – Stefano – chiamò l'ammalata a bassa voce. Emilio trasalì e guardò il Balli che si trovava nella parte della stanza ancora scarsamente illuminata dalla luce della finestra. Stefano non doveva aver udito perché non s'era mosso.
      – Se tu lo vuoi, voglio anch'io – disse Amalia. Rinascevano con le identiche parole gli antichi sogni, che il brusco abbandono del Balli aveva soffocati. L'ammalata aveva ora aperti gli occhi e guardava la parete di faccia: – Io sono d'accordo – disse – fa tu, ma presto. – Un colpo di tosse le fece contrarre la faccia dal dolore, ma subito dopo disse: – Oh, la bella giornata! Tanto attesa! – Richiuse gli occhi.
      Emilio pensò che avrebbe dovuto allontanare il Balli da quella stanza, ma non ebbe il coraggio. Aveva fatto già tanto male una volta in cui s'era interposto fra il Balli e Amalia. Il balbettìo dell'ammalata ridivenne, per qualche tempo, incomprensibile, ma, quando Emilio incominciava a tranquillarsi, dopo un nuovo accesso di tosse, ella disse chiaramente: – Oh, Stefano, io sto male.
      – Chiamò me?


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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