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      Accorgendosi di tanta commozione, il Balli si scusò: – Io non capisco niente; la sicurezza con la quale ne parlò il Carini mi mise dei dubbi.
      Emilio pianse di nuovo. Disse che non era la malattia o la morte d'Amalia che lo portava alla disperazione ma il pensiero che essa era vissuta sempre misconosciuta e vilipesa. Ora il destino implacabile si compiaceva di snaturarne la mite, dolce, virtuosa fisonomia con l'agonia dei viziosi. Il Balli cercò di calmarlo: pensandoci bene trovava anche lui impossibile che Amalia avesse avuto quel vizio. Del resto egli non aveva voluto fare un affronto alla povera fanciulla. Con profonda commiserazione, guardando verso il letto, disse: – Se anche la supposizione del Carini fosse stata giusta, io non avrei mica disprezzato tua sorella.
      Stettero lungamente in silenzio alla finestra. Il giallo sulla via veniva cancellato dalla notte che si avanzava rapidamente. Il solo cielo, ove le nubi continuavano ad accavallarsi, rimaneva chiaro e giallo.
      Emilio pensò che forse neppure Angiolina sarebbe andata all'appuntamento. Ma, di botto, dimenticando da un momento all'altro quello che, fin dalla mattina, aveva deciso, disse: – Io adesso andrò all'ultimo appuntamento con Angiolina. Infatti, perché no? Viva o morta, Amalia lo avrebbe diviso per sempre dall'amante, ma perché non sarebbe andato a dire ad Angiolina che voleva rompere definitivamente ogni relazione con lei? Gli si aperse il cuore alla gioia di quell'ultimo abboccamento. La sua presenza in quella stanza non giovava a nessuno, mentre andando da Angiolina egli portava subito un olocausto ad Amalia.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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