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      Sono il suo devoto amico e sono rimasto qui per assisterla.
      Ella non ascoltava. Guardava la luce alla finestra con un evidente sforzo per acuire l'occhio semispento. Guardava estatica, ammirando. Ebbe una brutta smorfia che pure rassomigliò a un sorriso.
      – Oh – disse – quanti bei fanciulli. – Ammirò lungamente. Il delirio era ritornato. Ci fu però una sosta fra i sogni della notte e le immagini luminose ch'erano vestite del colore dell'aurora. Vedeva bimbi rosei ballare al sole. Un delirio di poche parole. Designava l'oggetto che vedeva e null'altro. La propria vita era dimenticata. Non nominò il Balli, né Vittoria, né Emilio. – Quanta luce – disse affascinata. Anch'ella s'illuminò. Sotto alla pelle diafana si vide salire il sangue rosso e colorarle le gote e la fronte. Ella mutava ma non sentiva se stessa. Guardava le cose che sempre più s'allontanavano da lei.
      Il Balli propose di chiamare il medico. – È inutile – disse la signora Elena che da quel rossore aveva capito a qual punto si fosse.
      – Inutile? – domandò Emilio spaventato di sentir ripetuto da altri il proprio pensiero.
      Infatti, poco dopo, la bocca d'Amalia si contrasse in quello strano sforzo in cui pare che da ultimo anche i muscoli, inetti a ciò, vengano costretti a lavorare per la respirazione. L'occhio guardava ancora. Ella non disse più alcuna parola. Ben presto al respiro s'unì il rantolo, un suono che pareva un lamento, proprio il lamento di quella persona dolce che moriva. Pareva risultato da una desolazione mite; pareva voluto, un'umile protesta.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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