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      Era infatti il lamento della materia che, già abbandonata disorganizzandosi, emette i suoni appresi nel lungo dolore cosciente.
     
     
      Capitolo XIV
     
      L'immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un intelletto. Gli sforzi per trattenerla o per respingerla sono titanici, perché ogni nostra fibra terrorizzata la ricorda dopo averla sentita vicina, ogni nostra molecola la respinge nell'atto stesso di conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità, una malattia dell'organismo. La volontà non lo chiama né lo respinge.
      Di questo pensiero Emilio lungamente visse. La primavera era passata, ed egli non se n'era accorto che per averla vista fiorire sulla tomba della sorella. Era un pensiero cui non andava congiunto alcun rimorso. La morte era la morte; non più terribile per le circostanze che l'avevano accompagnata. Era passata la morte, il grande misfatto, ed egli sentiva che i propri errori e misfatti erano stati del tutto dimenticati.
      In quel periodo, per quanto poté, visse solitario. Evitò anche il Balli, il quale dopo di essersi contenuto tanto bene al letto di Amalia, aveva già perfettamente dimenticato il breve entusiasmo ch'ella aveva saputo inspirargli. Emilio non gli sapeva perdonare di non essergli più simile in questo. Era oramai la sola cosa che gli rimproverasse.
      Quando la sua commozione s'affievolì, gli sembrò di perdere equilibrio. Corse al cimitero. La strada polverosa lo fece soffrire, e indicibilmente, il caldo. Sulla tomba prese la posa del contemplatore, ma non seppe contemplare.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





Emilio Balli Amalia