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      «Voglio dirti tutto! Non poco aumenta i miei dolori la superbia dei miei colleghi e dei miei capi. Forse mi trattano dall'alto in basso perché vado vestito peggio di loro. Son tutti zerbinotti che passano metà della giornata allo specchio. Gente sciocca! Se mi dessero in mano un classico latino lo commenterei tutto, mentre essi non ne sanno il nome.
      «Questi i miei affanni, e con una sola parola tu puoi annullarli. Dilla e in poche ore sono da te.
      «Dopo scritta questa lettera sono più tranquillo; mi pare quasi di avere già ottenuto il permesso di partire e vado a prepararmi.
      «Un bacio dal tuo affezionato figlio.
      Alfonso.»
     
     
      II
     
      Alle sei sonate Luigi Miceni depose la penna e s'infilò il soprabito corto corto, alla moda. Gli parve che sul suo tavolino qualche cosa fosse fuori di posto. Fece combaciare i margini di un pacchetto di carte esattamente con le estremità del tavolo. Ci diede ancora una guardatina e trovò che l'ordine era perfetto. In ogni casella le carte erano disposte con regolarità che le faceva sembrare libretti legati; le penne accanto al calamaio erano poste tutte alla stessa altezza.
      Alfonso, seduto al suo posto, da una mezz'ora non faceva nulla e lo guardava con ammirazione. A lui non riusciva di portar ordine nelle sue carte. Qua e là era visibile il tentativo di regolarle in alcuni pacchetti riuniti, ma le caselle erano in disordine; l'una era riempita di troppo e disordinatamente, l'altra invece vuota. Miceni gli aveva spiegato il sistema per dividere le carte secondo il loro contenuto o la destinazione e Alfonso lo aveva capito, ma, per inerzia, dopo il lavoro della giornata non sapeva adattarsi ad altra fatica non assolutamente necessaria.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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