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      ..» e seguiva uno spazio in bianco che Alfonso riempì col numero delle azioni offerte. La lettera si estendeva a maggiori particolari. Parlava della necessità dell'istituzione di grandi banche in Italia, quindi della certezza che aveva la nuova banca di trovare lavoro proficuo.
      Miceni gli disse di scrivere rapidamente la prima lettera perché doveva servire poi di copia agli altri scrivani, ma Alfonso non sapeva scrivere presto. Gli toccava rileggere più volte prima di saper trascrivere una frase. Fra una parola e l'altra lasciava correre il suo pensiero ad altre cose e si ritrovava con la penna in mano obbligato a cancellare qualche tratto che nella distrazione gli era venuto fatto disforme dall'originale. Anche quando gli riusciva di rivolgere tutta la sua attenzione al lavoro, non procedeva con la rapidità di Miceni perché non sapeva copiare macchinalmente. Essendo attento, correva sempre col pensiero al significato di quanto copiava e ciò lo arrestava. Per un quarto d'ora non si udì che lo stridere delle penne e di tempo in tempo il rumore fatto da Miceni voltando le pagine.
      La porta si aprì con fracasso e sul limitare, ove rimase impalato per qualche istante, si presentò Ballina, l'impiegato che attendeva da Alfonso la lettera di Sanneo per farne altre copie.
      — E questa lettera?
      Era un bell'uomo dallo sguardo intelligente alquanto furbesco, un paio di mustacchi alla Vittorio Emanuele, la barba però non fatta. Fumava e il fumo non soffiato via, — lo avrebbe volontieri riassorbito per goderne di più, — riempiva i mustacchi e saliva coprendogli il volto fin sotto agli occhi.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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