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      Sanneo voltò le spalle ad Alfonso, guardò la lettera di Miceni e lo pregò di consegnarla a Ballina non appena terminata. Uscì con la medesima fretta, preceduto da Ballina che voleva fargli vedere d'essere subito ritornato nella sua stanzetta, e seguito da Giacomo, impettito, che batteva i piedi per terra per dare importanza al suo piccolo passo.
      Pochi minuti dopo Miceni consegnò a Ballina la lettera per la copia e Alfonso udì dalla stanza vicina le bestemmie che Ballina mandava con voce grossa d'ira al vedere che la lettera era di quattro facciate.
      In un'oretta all'incirca Miceni terminò il suo lavoro. Con tutta calma rifece teletta, mise anche il cappello in testa con tanta cura come se non avesse avuto da levarlo più mai, prese seco le sue lettere e i dispacci che passando voleva deporre dal signor Sanneo, vi unì per compiacenza due lettere scritte da Alfonso e uscì canticchiando.
      Nella quiete assoluta il lavoro procedette più rapidamente. Non trovandoci altro più forte interesse, Alfonso, per legare l'attenzione al lavoro, usava quand'era solo di declamare ad alta voce la lettera, e quella si prestava alla declamazione essendo rimbombante di paroloni e di cifre enormi. Leggendo ad alta voce la frase e ripetendola nel trascriverla, scriveva con meno fatica perché bastava il ricordo del suono nell'orecchio per dirigere la penna.
      Si ritrovò con sorpresa di aver finito e andò immediatamente da Sanneo temendo già di aver fatto tardi. Costui trattenne i dispacci e gli ordinò di porre le lettere sul tavolo del signor Maller.


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Una vita
di Italo Svevo
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