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      La signora Lanucci, avvezza da lungo tempo a consolare il marito dell'infruttuosità dei suoi sforzi, aveva assunto la medesima parte con Alfonso e finito col partecipare tanto intensamente delle sorti del giovine, che ne parlava come di affari proprii. L'invito del signor Maller, di cui Alfonso le aveva parlato, aveva destato in lei le maggiori lusinghe; ne parlava come se da quell'invito la fortuna dell'impiegato venisse assicurata. Ci era tanto poco avvezza, che la buona fortuna la sorprendeva.
      Lucinda poteva avere quarant'anni forse, ma, piccola e grassa e pel grigio abbondante dei capelli, ne dimostrava di più. Non era stata mai bella. Aveva apportato al marito qualche poco di dote ch'era stata assorbita da una speculazione in lotti turchi. Era intelligente, vivace, amava di parlare molto e la sua faccia pallida da sofferente le aveva subito conquistata la simpatia di Alfonso.
      Pareva volesse bene al marito; al figliuolo Gustavo, diciottenne, il buona lana come ella lo chiamava, diceva di volerne poco; il suo maggior affetto era per la figliuola Lucia, sedicenne, la quale lavorava da sarta in case private. La madre guadagnava più di tutti quale maestra in una scuola popolare, ma senza i proventi di Lucia i mezzi non sarebbero bastati. La signora Lucinda era desolata di veder la figliuola costretta a passare la gioventù sulla macchina da cucire mentre ella l'aveva passata meglio, perché, da benestante, aveva studiato e s'era divertita. Nelle ristrettezze ella non aveva potuto far nulla per l'educazione di Lucia, ma di questo non si lagnava non avvedendosi che il risultato corrispondeva alla spesa fatta.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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