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      Santo continuò per un pezzo a ridere sotto i baffi. Si diresse verso la porta di fondo.
      Giunsero in una stanza quadrata con mobili piccolissimi fatti per esseri che di certo mai erano esistiti. Piccola e morbida, pareva un nido. Era tappezzata con una stoffa azzurra che ad Alfonso parve raso e i tappeti erano tanto alti, soffici che si provava il desiderio di sdraiarvisi.
      — È la stanzuccia di ricevimento della signorina Annetta, — disse Santo; — non si entra però mica da questa parte. Qui è l'ingresso per la servitù. L'ho condotta da questa parte per poter farle vedere subito qualche stanza; è la parte più bella della casa.
      Lo guardò con un sorriso da protettore, attendendosi di venir ringraziato.
      Sul tavolinetto c'erano delle chincaglierie chinesi. Sembrava che il gusto della signorina Annetta fosse orientale. Sulle tappezzerie, al chiarore della candela accesa da Santo, Alfonso vide dipinti su un fondo azzurro due piccoli chinesi; l'uno seduto su una corda fissata a due travi ma molle e pendente come se i chinesi non pesassero, l'altro in atto di arrampicarsi su per un'erta invisibile.
      — Qui dorme la signorina — disse Santo giunto nell'altra stanza, e tenne in alto la candela per diffondere la luce.
      Inquieto Alfonso chiese:
      — È permesso di venire in questa stanza così, senz'altro?
      — No! — rispose Santo con superbia — a tutti è proibito meno che a me.
      Il suo volto era sfavillante dall'orgoglio per quelle cose belle. Faceva ammirare la tappezzeria vellutata; si diresse anche verso il letto e stava per aprire i panni leggeri, rosei, che ne formavano il padiglione, ma Alfonso glielo impedì.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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