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      Quando c'era il signor Sanneo vi si stava sempre all'erta perché capitava inatteso come una bomba, col suo passo sempre affrettato e a pena entrato, qualunque ora fosse, gridava: «Non perdano tempo, non perdano tempo!» Nessuno si arrischiava di rispondere e il gruppo si scioglieva come una mandra dispersa da un cane imbizzito.
      Miceni invece, anche adesso, veniva qualche sera a passare la mezz'ora quieto in quella stanza. Stava zitto, sdraiato sul vecchio sofà, stanco ma lieto della giornata, agitato dall'importanza del suo lavoro.
      Ballina lo trattava per derisione con rispetto affettato. Un giorno, nella foga del lavoro, Miceni gli aveva rimproverato lentezza ed egli non gliela perdonava. Miceni cercò di giustificare quella sgridata, ma Ballina gli rise in faccia:
      — Come se gli affari della banca fossero i tuoi. Capisco, quantunque molto difficilmente, che il signor Maller, che il signor Sanneo ci tratti con alterigia, ma non un capo corrispondente per quindici giorni.
      Certamente Ballina doveva essere una persona felice; aveva la beatitudine del suo molto lavoro meccanico tanto evidente, che persino Alfonso che volentieri non l'avrebbe ammesso, la comprese. Si diceva per vanteria capo dell'ufficio informazioni ma ne era l'unico componente. Lui domandava le informazioni e lui le copiava e le disponeva per ordine alfabetico in un grande armadio. Non teneva sospesi perché il suo lavoro non lo richiedeva e aveva l'abitudine di rimanere all'ufficio molte più ore di quanto fosse obbligato.


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Una vita
di Italo Svevo
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