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      — Ad ogni modo — obbiettò Miceni con un tono che chiedeva alla bontà del suo avversario di accettare per buono il suo argomento — è mal fatto da parte del signor Sanneo di obbligarmi a lavorare in giorno festivo.
      — Avevo dato ordine io di fare e di spedire ieri stesso quella lettera, — rispose severamente il signor Maller.
      Miceni ebbe dei suoni inarticolati; non c'era più nulla da rispondere.
      A White fece compassione e uscì.
      L'altra parte della scena fu riportata da Miceni che uscì dalla stanza di Maller lieto come se fosse stato sicuro del fatto suo.
      Si faceva ammirare. Gli era stato dato torto per la questione in giudicato e un altro avrebbe abbandonato la partita per perduta, mentre lui aveva saputo spostarla. Aveva parlato di vecchie storie, in direzione già sapute e per le quali si sapeva che Sanneo era stato biasimato; poi, con disprezzo, — un'altra mancanza di rispetto al suo capo non poteva più nuocergli, — di quei notabene che non avevano altro scopo che d'insudiciare le lettere e di far correre l'impiegato.
      — Il contegno del signor Sanneo con gl'impiegati non è quale dovrebb'essere ed io assolutamente non mi vi adatto!
      Aveva riconquistato tutta la sua sicurezza.
      Venne però chiamato di nuovo in stanza del signor Maller e ne uscì con cera affatto mutata, tanto che Alfonso nulla gli chiese avendo già compreso. Miceni ebbe un risolino che voleva essere sarcastico; con movimenti più decisi pose sul suo tavolo il cappello e la giacchetta da lavoro e disse:
      — Questa è del tutto inaspettata.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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