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      Senza guardarlo in faccia, dopo una lunga esitazione, Lucia andò a lui e stendendogli la mano gli disse:
      — Mi scusi, signor Alfonso, ho avuto torto; facciamo la pace!
      Alfonso, commosso, gliela strinse con vivacità:
      — In gran parte il torto fu mio, mi scusi lei!
      Lucia gli lanciò un'occhiata raggiante di riconoscenza che la rese meno brutta ed ebbe poscia il contegno tranquillo, disinvolto, da persona che dimentica i malintesi. Rideva spesso ed era ritornata immediatamente ai suoi costumi affettati e dolci.
      Egli fu meno disinvolto; gli dispiaceva di essere stato vinto in generosità. Avrebbe dovuto cedere per il primo lui, la persona colta, il maestro. Questo dispiacere, per quanto lieve, continuò ad agitarlo anche quando fu coricato. Erano sempre questi fatti insignificanti che lo inquietavano nella sua vita del resto vuota d'avvenimenti d'importanza, e ogni sera aveva di che sognare su qualche sua parola detta troppo in fretta o su qualche parola altrui di cui appena allora scopriva il vero significato, per pentirsi di non essersi vendicato di una puntura o di aver risposto troppo brusco ingiustificatamente.
      In tinello si parlava e, macchinalmente, egli ascoltò. Erano la Lanucci ed il marito; egli non distingueva che il suono delle voci e soltanto quando, per recarsi alla loro stanza, passarono dinanzi alla sua porta, udì chiaramente la Lanucci che esclamava, probabilmente a conclusione di quanto fino ad allora avevano discorso, con un risolino di buon umore: — Queste sono proprio dispute da innamorati.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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