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      Nei suoi sogni egli era capace delle azioni più eroiche, ma il giorno appresso ebbe un contegno meno disinvolto del solito ma non più affettuoso. Quando era solo vedeva la situazione con tutt'altri occhi che quando si trovava con Lucia. Prima scusava, perdonava, giungeva persino a sentire rimorso di non poter agire nobilmente, rammentava l'amore di Lucia che si era manifestato tanto nella pazienza con cui aveva sopportato le sue brutalità, quanto nella violenza del suo dolore allorché aveva dovuto riconoscere di non poter raggiungere la sua meta. Quando era dinanzi a Lucia ne vedeva gli zigomi sporgenti. Stava all'erta! Non sentiva desideri; era libero e voleva rimanerlo.
      — Sono ammalato!
      Per giungere a questa conclusione aveva dovuto fare molte osservazioni su se stesso. La sua profonda tristezza che tutto gli faceva apparire grigio, smorto, fino ad allora gli era sembrata naturale conseguenza del suo malcontento, l'insonnia derivava dall'agitazione in cui metteva il suo cervello con lo studio di sera e infine lo stato anormale, febbrile che qualche volta osservava nel suo organismo era, come egli aveva pensato sempre, il bisogno di fatica e di aria pura che i suoi muscoli ed i suoi polmoni si ostinavano a chiedere. Altre volte però gli bastava di essere libero per qualche ora per riavere la sua vivacità e la sua quiete. Ora, invece, una visione dominava sempre, monotona, e gli toglieva la facoltà di prender parte al presente, di udire ed esaminare la parola altrui. Sanneo, dopo che per lungo tempo gli aveva dato delle istruzioni, con voce mutata gli chiedeva: — Ha capito?


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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