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      In soli quindici giorni, Alchieri, che usciva da una caserma, aveva introdotto nel lavoro un sistema preferibile di molto a quello di Alfonso e ad Alfonso fu facile, almeno per il primo tempo, di conservarlo. La maggiore tranquillità nel suo organismo rinforzato dall'aria aperta lo rendeva capace di un'attenzione maggiore per quanto sempre forzata.
      Anche essendo in ufficio continuava la sua cura d'aria aperta come egli la chiamava. Faceva ogni mattina una passeggiata di più ore e solitamente verso l'altipiano perché gli occorreva la fatica della salita. Col suo passo misurato, l'aveva riconquistato, percorreva tutta la lunga strada d'Opicina spaziosa e comoda, la quale, lunghissima, con debole salita, in un solo giro, enorme semicerchio intorno alla città, lo portava sino all'altipiano. Alfonso riposava ove da questa via si staccava un viottolo verso Longera.
      Di là vedeva il vasto altipiano muto e deserto con le sue innumerevoli piccole colline di sassi, di tutte le forme, appuntite, rotonde, appiattate, mucchi di sassi piovuti dall'alto e disposti dal caso che aveva fabbricato anche lo stesso monte Re all'orizzonte, con la sua larga schiena e la dolce salita da una parte, dall'altra la caduta perpendicolare quasi.
      Alfonso non varcava mai quel punto e ciò non soltanto perché il tempo gli mancava. Di là vedeva anche la città con le sue case bianche, il mare abitualmente tanto calmo di mattina come se le poche ore di giorno non fossero ancora bastate a destarlo. Il verde dei promontori a sinistra della città ed il colore del mare contrastavano singolarmente con i sassi grigi dell'altipiano.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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