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      La sera appresso si trovarono di nuovo in biblioteca. Alfonso ci andò più volentieri. La conversazione con Macario lo divertiva e lo lusingava la sua compagnia.
      Lo spirito di Macario la vinceva sempre sulla scienza di Alfonso e Macario era convinto di dare delle lezioni. S'ingannava. Alfonso se imparava da lui qualche cosa si era osservandolo quale oggetto di studio.
      Aveva intanto compreso la qualità dello spirito di Macario. S'avvedeva degli errori suoi, non gli sfuggiva quando da lui un'idea veniva gonfiata per darle evidenza con maggior facilità, e, infine, se talvolta dimostrava ammirazione era perché ammirava la disinvoltura con la quale Macario negava o asseriva anche là dove menti superiori esitavano.
      Macario cadeva spesso in contraddizioni, ma mai nel medesimo giorno. Era soggetto all'umore della giornata. Secondo quello si metteva in dati panni non suoi e ci viveva come se fossero stati suoi e non avesse avuto da smetterli mai più. Ciò gli era facile in grazia della sua cultura superficiale, abbastanza estesa per ricavarne i mezzi a creare un tipo da persona colta e stramba, non abbastanza profonda per dargli una ferma convinzione sua, tale da non potervi rinunziare neppure per ischerzo.
      Quella seconda sera l'ebbe con la stampa. Diceva che scrivendo per la stampa si simulava sempre, non si era mai del tutto sinceri. In pubblico si diceva nuovo quello ch'era vecchio, meritevole di lode il biasimevole e così via. Fin qui era debole ma andava pigliando forza. A che serviva la scienza?


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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