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      Tutti s'erano fatti scusare, meno Macario ch'era ancora atteso. Annetta disse che supponeva non avessero saputo rinunziare ad una festa cittadina e dimostrò la sua gratitudine ad Alfonso dicendogli con dolcezza ch'era lui ad aver torto d'essere venuto a chiudersi in una stanza melanconica.
      — Melanconica, no, certo no! — assicurò Alfonso guardandola arditamente.
      Se ella non avesse mai saputo di essere bella, l'occhiata di Alfonso sarebbe bastata ad apprenderglielo. Egli confessò candidamente ch'era la prima parola che udiva di una festa cittadina per quel giorno.
      — Tanto solitario vive? — chiese Annetta sorpresa.
      S'erano seduti sul canapè accanto alla finestra, il luogo più illuminato della stanza. Attraverso ai pesanti cortinaggi entravano vieppiù mitigati i colori del tramonto.
      Nella contrada parallela alla via dei Forni passava la banda cittadina. Non si udivano che le note dell'accompagnamento e il rombare della grancassa. Stavano zitti a udire.
      — Chissà che cosa suonano? — disse Annetta e spalancò la finestra. La brezza gonfiò i cortinaggi e il suono acuto di una trombetta portò la melodia che era mancata.
      Udirono anche per un istante il susurrio della gente dietro alla banda.
      Ridendo Annetta volse la faccia ad Alfonso rimanendo piegata sul davanzale:
      — Che fra questa gente vi sieno anche i nostri serî amici?
      Dalla luce ove ella era, non poteva scorgere nella penombra Alfonso che l'ammirava senza ritegno.
      Anche il mezzo lutto, il grigio era scomparso. Era vestita di bianco di lana molle e un cordone nero alla vita.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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