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      Disaggradevole per lui era il sentimento di aver cooperato a fare l'infelicità di Fumigi, di aver meritato l'odio di qualcuno per la prima volta in vita sua, lui consapevole. Bastava a procurargli un profondo disgusto della sua felicità.
      Andò a lavorare al romanzo perché gli sembrava di meritare così meglio la sua fortuna, e si sottopose al disgustoso lavoro quasi avesse voluto placare l'invidia degli dei dimostrandosi meno felice.
      Bastò una parola di Miceni per togliergli in parte la sua sicurezza.
      — Probabilmente a quest'ora tutto è conchiuso!
      Se in quello stesso istante ad Alfonso fosse stato annunziato che Fumigi, subito il rifiuto da Annetta, si era ucciso, non gliene sarebbe doluto affatto.
      E il caso volle che per parecchi giorni rimanesse in tale stato d'animo. Quella sera non venne ricevuto da Annetta. Lo fermò sulle scale la cameriera per avvisarlo che la signorina Annetta non poteva riceverlo.
      — C'è qualche cosa di nuovo? — chiese Alfonso spaventato. Poi, vedendo la sorpresa dell'altra, aggiunse a spiegazione:
      — La signorina è forse indisposta?
      — No! — rispose la cameriera, una donna vecchiotta, vestita con pretesa e che aveva trattato Alfonso sempre con grande indifferenza forse anche perché egli s'era dimenticato di farle un poco la corte — sta benone. — Corse via come se per il molto da fare non potesse rimanere in ozio neppure per pochi momenti.
      Bastò per dare ad Alfonso il dubbio che la domanda di Fumigi fosse stata accolta altrimenti di quanto egli avesse supposto. Donde era derivata a lui quella sicurezza in cui si era cullato?


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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