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      Le diceva la parola d'amore con una mezza voce che conservava le inflessioni del grido, un grido melodrammatico, rotto.
      Agli occhi di Annetta il suo maggior delitto fu di non saper conservare immutato il suo contegno con i terzi. Dinanzi ad altra gente egli ridivenne muto come altra volta per timidezza e peggio anche perché appariva malcontento e irritato. Prarchi venuto un mercoledì gli chiese se stesse male. La domanda aprì finalmente la bocca ad Alfonso perché per descrivere se stesso poteva ancora parlare. Parlò commosso di una sua malattia che non sapeva definire, un'inquietudine che gli toglieva il sonno, il piacere allo studio, la gioia della vita; tutto l'annoiava.
      Con tutta serietà Prarchi diede il suo parere medico. Naturalmente qualificò la malattia indefinita per malattia di nervi e diede il consiglio di andare a passare un mesetto a casa sua, all'aria aperta. Annetta, quantunque dovesse aver compreso di quale malattia si trattasse, gli propose con dolcezza di chiedere per lui il permesso. L'offerta di curarlo in tale modo irritò Alfonso così che si lasciò trascinare ad esclamare:
      — Dovrei andare molto lontano acciocché mi giovasse.
      Se Prarchi non fosse stato tanto semplice da voler fare la diagnosi della malattia coi sistemi insegnatigli nelle cliniche, indubbiamente la frase di Alfonso sarebbe bastata per fargli capire di che cosa si trattasse.
      Una sera la trovò sola, e quando egli, già turbato profondamente dalla combinazione insperata, si accingeva a mettere in atto un suo proposito ardito, ella gli lanciò delle parole brusche che fecero su lui l'effetto di una doccia d'acqua fredda.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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