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      La signora lo pregò più volte di non gridare tanto. Più colta, ella comprendeva quanto dovesse spiacere ad Alfonso quella scena e se ne vergognava, ma non trovò migliore mezzo per farlo tacere che di gridare più di lui. Di lì a poco, il sangue riscaldato, uscivano anche dalla sua bocca delle parole ingiuriose e dava libero sfogo all'amarezza che la tristezza della vita aveva accumulata nel suo cuore. Allorché il vecchio, cui mancavano altri argomenti, ripeté ch'era stanco di lavorare lui per tutti, ella senza ritegno gli disse che non era vero che lavorasse per tutti e ch'egli guadagnava appena tanto da sostentare se stesso.
      Bastò per far tacere il Lanucci; avvilito, le labbra pallide, gli occhiali fuori di posto, perché male costruiti pendevano a destra quando egli dimenticava di sostenerli, dopo un lungo silenzio disse con dolcezza:
      — Non era per te ch'io parlava ma per quel poltrone. È poi giusto ch'egli viva alle nostre spalle quando persino Lucia trova il modo di guadagnarsi il suo pane?
      La signora Lanucci s'era subito commossa e Alfonso credeva ch'ella già rimpiangesse le dure parole lanciate al marito. Vedendo che il vecchio non voleva ancora quietarsi, ella s'adirò di nuovo e gli gridò imperiosamente:
      — Basta, basta, — gettando un'occhiata ad Alfonso il cui silenzio interpretava sinistramente. Egli invece taceva per commozione e comprendeva la ragione di quei litigi. Prese le parti del vecchio e pregò la signora che gli venisse lasciata la libertà di difendersi. Allora ella, essendo sicura che ad Alfonso la vista delle loro dispute non destava né sdegno né disprezzo, divenne più mite come sarebbe stata da bel principio, se non le fosse importato più di diminuire la cattiva impressione in Alfonso che di offendere il marito.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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