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      — Non mi faccio più lusinghe, so ch'è uno scherzo, — faceva il forte ma parlava con fatica.
      Con compassione materna Francesca esclamò:
      — Non sarebbe questo per lei il momento di ritornare a casa sua? Non s'è ancora avvisto che questa città non fa per lei?
      — Perché? — chiese Alfonso che si commoveva vedendosi compianto.
      — Se non lo capisce, non glielo posso spiegare. Anch'io vivrei volentieri in campagna e darei molto ma molto per non aver lasciato il suo villaggio, il nostro n'è vero?
      Si guardarono inteneriti. La loro sorte simile li riavvicinava e li commoveva.
      Francesca volle dargli un consiglio e lo pregò di ascoltarlo e seguirlo come se gli pervenisse da una madre. La premessa fece sperare molto ad Alfonso di questo consiglio e fu grande la sua disillusione allorché ella gli disse semplicemente che non comprendeva perché egli continuasse ad agitarsi il sangue con Annetta, quando finalmente doveva aver riconosciuto che a portare vita e passione in quella statua ci voleva ben altra arte che la sua. Ella gli consigliava di contenersi precisamente come glielo domandava Annetta, freddamente.
      Era questo il grande consiglio? Se anche non con le stesse parole, tale consiglio gli era stato dato già da Annetta stessa e suppose che per desiderio di costei gli venisse ripetuto. Forse anche Francesca prendeva il suo ufficio di custode più seriamente di quanto egli fino allora avesse creduto e gli parlava così per diminuire il pericolo che minacciava Annetta.
      Ma al momento di congedarsi, il linguaggio di Francesca mutò e gli disse due o tre brevi frasi di cui egli non comprese subito tutta l'importanza.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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