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      Ebbe, finché non la rivide, un'immensa inquietudine. Temeva che in una o altra forma ella gli desse quel congedo ch'egli già aveva temuto di ricevere per le sue arditezze; non avendolo ricevuto allora per quelle cause, era possibile che gli venisse dato ora per queste. Si vide ridotto a mal partito e se la prendeva nella sua mente con Francesca e il suo consiglio. Si propose di andare da Annetta a chiederle perdono raccontandole perché avesse assunto quel contegno. Non si sentiva colpevole e si riprometteva di convincerla che non lo era. Aveva voluto renderla più mite e più arrendevole e le avrebbe detto che non aveva fatto altro che imitare l'astuzia usata dal loro eroe stesso. La scusa era facile ed anzi dalla freddezza a cui s'era costretto in quei pochi giorni poteva forse già ritrarre qualche frutto.
      Comprese dai modi riservati ma gentili di Annetta che il pericolo temuto era più lontano di quanto egli avesse creduto e la riservatezza di Annetta lo fece suo malgrado, per timidezza, continuare nel contegno che aveva risoluto di lasciare. Passò la serata molto aggradevolmente. Come sempre, gli bastava di uscire da un'incertezza, da un timore, perché il rivedere Annetta fosse per lui un'immensa felicità. A passare gradevolmente il tempo provvide la sua agitazione, essendo sempre là pronto a gettare le braccia al collo ad Annetta e a ritornare a quella sua posizione soggetta che gli offriva tante gioie. Non ebbe bisogno di sforzo per ricordarsi che ad Annetta sempre bisognava fare la corte.


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Una vita
di Italo Svevo
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