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      L'azione in sé l'agitava meno che il vederla costretta in sì breve tempo.
      — Finalmente soli, una volta! — disse egli, e non appena entrato l'attirò a sé, ma senza violenza, come se avesse voluto salutarla, stringerle la mano.
      Ella poggiò la testa sul suo petto e con rimprovero dolce per la posizione da cui lo faceva, ma con serietà, disse con voce troppo soda e tranquilla per essere naturale: — Eravamo pur soli recentemente.
      — Mi scusi! — balbettò Alfonso. Egli non voleva commoversi di più e la baciava dolcemente sugli occhi, calcolando fin dove avrebbe potuto condurlo quell'abbandono di Annetta.
      La biblioteca non era illuminata che dalla lampada a petrolio sul tavolo e la sua luce, chiusa dal paralume, si proiettava tutta all'ingiù, in una larga macchia sul tavolo verde e in un fascio di luce che sfuggiva verso il pavimento. Si amava bene nell'austerità di quella stanza, in mezzo agli armadi neri e semplici e quella serietà dei libri che mostravano le schiene larghe con le cifre d'oro. Era una contraddizione che aguzzava maggiormente il desiderio di Alfonso. Alcuni grossi volumi legati senz'eleganza, forse raccolte di giornali, schierati in un canto emanavano un forte odore di colla.
      L'aveva lasciata e tenendola per mano l'aveva tratta fuori della luce. Vedendolo così tranquillo, ella non ebbe sospetti e sedette accanto a lui sull'ottomana. Così, uno accanto all'altra o anche abbracciati al medesimo posto, erano già stati altre volte. Egli provò dispiacere che per caso ella si fosse seduta ove lo schienale mancava.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Alfonso Annetta Alfonso