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      Comprendeva e compativa le debolezze altrui e tanto più superbo andava della propria superiorità. Quando entrava in biblioteca o nella sua stanzuccia, egli usciva perfettamente dalla lotta; nessuno gli contendeva la sua felicità, egli non chiedeva nulla a nessuno. Ora invece questi lottatori ch'egli disprezzava lo avevano attirato nel loro mezzo e senza resistenza egli aveva avuto i loro stessi desiderî, adottato le loro armi.
      Voleva combattere il proprio disgusto che, attribuito alle cause ch'egli si ostinava di dargli, era assolutamente irragionevole. Vestendosi pensava che se un suo simile l'avesse risaputo ne avrebbe riso. Egli era entrato nella lotta perché non gli era stato mai concesso di uscirne del tutto; anche la felicità modesta che aveva chiesta non gli era stata accordata intera. Oh! via! la sua era una vittoria che gli dava intanto la libertà! Se il suo affetto per Annetta, — così in parentesi già lo confessava, — non era quale avrebbe dovuto essere, la sua vita principiava appena da questo matrimonio ed egli doveva gioirne altamente.
      La Lanucci, vedendolo accigliato, s'impensierì e, sapendo ch'era rincasato tardi, gli chiese se avesse passato la notte al tavolino da giuoco e perduto. Egli rise! Aveva infatti giocato, ma aveva guadagnato.
      Durante la mattina, lavorando con lentezza e fermandosi a sognare nel fissare un nome o una cifra, ebbe l'idea strana che forse a quell'ora l'amore di Annetta era già cessato e ch'egli non ne avrebbe più sentito parlare. Era ammissibilissimo, perché un amore nato così presto, il prodotto della necessità e della rassegnazione, poteva morire con la medesima rapidità con cui era nato.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Annetta Lanucci Annetta