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      Annetta non c'era ancora. Secondo quanto gli aveva scritto, ella doveva trovarsi dinanzi alla scuola, verso il Tribunale. Anche in quella sera, avendo paura degli sguardi indiscreti, non volle stare fermo e fece due volte con passo lento la piccola erta designata. Come si accingeva a risalire, venne chiamato.
      — Signor Alfonso!
      Era Francesca, non Annetta. Ella gli venne incontro, il volto leggermente arrossato e lo salutò con quella sua voce solita, inalterata che finiva col sembrare quella di una macchina.
      — Avrei lassù, — e accennò verso villa Necker, — la carrozza nella quale si potrebbe parlare con piena calma ma preferisco camminare. Già, io sono perfettamente irriconoscibile.
      Non lo era ad onta del fitto velo che le copriva il volto, e Alfonso pensò ch'egli avrebbe riconosciuto anche a grande distanza quel corpo gracile dai movimenti virili nel vestito nero, molle.
      — E Annetta? — chiese rammentandosi finalmente di dimostrare disillusione.
      Ella s'era messa a camminare con passo piccolo ma rapido verso villa Necker sull'erta ove a lui già una volta era mancato il fiato. Lo precedeva di due passi per far credere ai passanti che non si trovava in sua compagnia. Soltanto dopo il Tribunale lo attese e rispose alla sua dimanda. Annetta non poteva venire e lo pregava di scusarla; precisamente all'ora destinata per l'appuntamento, il padre per una disgraziata combinazione aveva avuto il capriccio di trattenerla con sé. Gli porse un bigliettino di Annetta, due parole scritte in fretta all'ultimo momento.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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