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      Cellani doveva parlare con lui, non egli con Cellani e così non temeva neppure quel colloquio. Non vedendosi chiamato fino a mezzodì ebbe una sola paura e cioè che Francesca, non avendo potuto convincere lui della necessità di rimanere, fosse riuscita a convincere Annetta ch'era preferibile di non farlo partire. Si trovava in mani loro e gli sarebbe toccato di ricevere da Maller i rimproveri meritati e poi, ciò ch'era ben peggio, assumere la parte di amoroso ardente.
      A mezzodì il piccolo Giacomo lo avvertì che il procuratore lo attendeva nella sua stanza. Alfonso perdette un poco della sua calma perché già aveva dubitato di non venir chiamato, e le cose inaspettate lo agitavano sempre.
      Il signor Cellani era solo e aveva il tavolo netto di carte. Per quel tavolo passavano tutti gl'innumerevoli documenti della banca e non lo abbandonavano che segnati da lui; già quell'ufficio di lettore delle lettere che arrivavano e di quelle che partivano doveva dargli un lavoro enorme.
      Cellani era uomo che facilmente s'imbarazzava e perciò Alfonso trattava con lui con maggior disinvoltura che con Maller. Dapprima il procuratore gli chiese come stesse, poi, con la parola come al solito stentata, spiritosamente osservò che generalmente non usava accordare che i permessi che gli venivano chiesti e ch'era la prima volta che si trovava obbligato ad offrirne.
      Visto che ne trattava tanto leggermente, si capiva ch'egli non era stato messo a giorno della ragione per cui veniva domandato quel permesso. Alfonso fu tanto tranquillo che fece anche lui dello spirito e trasse il procuratore dall'impaccio accusato.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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