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      Nell'altra stanza avevano abitato i coniugi Nitti. Era ripiena di vecchi mobili enormi di legno semplice che stavano bene in quello stanzone e lo rendevano abitabile. Fra le due finestre v'era un orologio moderno a pendolo, l'ultimo oggetto che il Nitti avesse portato in casa. Durante i mesi di malattia del vecchio medico, la famigliuola, per fargli compagnia, aveva pranzato in quella stanza e nel mezzo era stato posto il tavolo che doveva ancora esserci, a quanto la signora Carolina aveva scritto ad Alfonso.
      La tristezza che lo assalì in quella prima stanza, ove attendeva di venir chiamato e che riconosceva ad onta che non vi fosse alcun oggetto che aiutasse i suoi ricordi, non era tutta risultato del trovare sua madre ammalata. Questa a cui egli sentiva di andare ad assistere era una delle sventure della sua vita. Grandissima era stata quella della morte del padre! In quei luoghi, dinanzi al villaggio e alla casa e in quella prima stanza, dacché aveva abbandonato la ferrovia, egli si sentiva accompagnato dal suo ricordo. La bella gioventù che gli aveva fatto passare: quanto tranquilla, protetta! La famiglia doveva certo aver passato delle brutte epoche ed egli nulla ne aveva saputo, né durante la prima gioventù in villaggio, né poi in città ove il vecchio Nitti per qualche tempo aveva tentato invano di farsi una clientela. Quanta bontà e quanta rassegnazione! Non s'era lagnato mai il vecchio e le esperienze fatte dal padre non avevano rubato le illusioni al figliuolo. — È giusto!


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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