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      Ora, a quel letto, non sentiva né rimorsi né rimpianti. La sua indifferenza dava il medesimo aspetto incolore tanto al suo amore per Annetta quanto alla ripugnanza che aveva sentito per essa. Tutta l'avventura mancava d'importanza, e se ne aveva, era unicamente per il fatto che casualmente era stata dessa che lo aveva portato più presto al suo posto, presso sua madre.
      Nelle lunghe ore ch'egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che lo avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito. La sua ripugnanza per Annetta, egli andava dicendosi, era spiegabile, anzi naturale. Non v'era nulla di comune fra lui e quella donnetta ch'egli aveva potuto conoscere tanto esattamente come se gli fosse stato dato di saperne ogni azione, ogni parola, ogni pensiero da lei avuto dacché era nata. Quando ella parlava dimostrava più che altro il desiderio di piacere, quando scriveva era vana, e vana e sensuale quando amava. Egli faceva dei confronti fra lei e la povera donna di cui sosteneva il sonno. Anche in quello stato la signora Carolina tradiva quanto avesse amato il marito e in quale modo; tanto umilmente che ancora ne conservava, ricordo vivente, i gesti, i modi che inconsciamente imitava, persino qualche cosa della fisonomia. Per lui sarebbe stata una tortura di vivere accanto ad Annetta. Lo avrebbe reso ricco e avrebbe ritenuto suo diritto di averlo a schiavo; la vanità e i sensi che l'avevano gettata fra le sue braccia potevano farla cadere anche con altri.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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