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      Nella lettera parlò della sua speranza di una guarigione perfetta e aggiunse, per scrupolo, che forse gli sarebbe bisognato di chiedere anche un'altra prolungazione.
      Nell'ultima settimana le sofferenze fisiche della signora Carolina erano diminuite, ed era proprio l'indizio dell'avvicinarsi della grande pacificatrice. Il suo organismo era divenuto incapace persino di dolore.
      Una mattina, dopo una notte di veglia inquieta e durante la quale l'ammalata più volte si perdette non nel delirio ma nell'indebolimento spaventevole dei sensi, Alfonso le trovò la voce mutata, il timbro più profondo e meno sonoro. Questa voce era interrotta dalla respirazione frequente e insufficiente, ma l'ammalata sembrava non ne soffrisse. In un istante di lucidezza disse con voce angosciata che moriva. Le sembrava che i muri si piegassero e minacciassero di cadere; di fuori, per essa, infuriava la tempesta e una volta, fuori di sé, chiese che si mandasse al villaggio a vedere se era ancora in piedi. Poi volle definire quello che sentiva e per ore invano andò cercando la parola adatta. Era strano e terribile, diceva, perché si sentiva martoriare e non erano dolori.
      Perdette totalmente la conoscenza verso sera così che Alfonso credendola morta si mise a piangere senza riguardo. Quella lunga giornata di sofferenze nuove, il sentimento della propria immensa impotenza gli parve rivelassero cose sorprendenti ch'egli non aveva saputo esistessero. Il male a cui il povero organismo della madre soggiaceva finì col sembrargli un essere personale.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Carolina Alfonso Alfonso