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      La porta s'era aperta e subito la stanza era stata invasa da un tumulto di suoni dei carri che passavano sulla via e dei gridii prolungati dei carrettieri. Con movimento istintivo egli aveva chiuso gli occhi per isolarsi. Era sua madre. Prima ch'ella giungesse al suo letto egli la vide e vide il suo sorriso soddisfatto al trovarlo tanto quieto. Ella si chinò su lui e lo baciò, ma giusto sulla cavità dell'orecchio. Egli sentì un acuto dolore come se dentro qualche cosa fosse scoppiato e si svegliò.
      Fu abbagliato dalla luce ch'entrava dalla finestra. Già giorno? La sorpresa era maggiore perché si sentiva ancora stanco come se avesse dormito un'ora al più.
      Accanto al suo letto c'erano Mascotti e Frontini e parve che non si fossero accorti ch'egli aveva aperto gli occhi.
      — Quanto può durare? — chiese Mascotti pensieroso e accarezzandosi il naso con l'indice.
      — Chi lo può sapere? Anche quindici giorni. È probabilmente una tifoidea.
      — Io tifo? — chiese Alfonso.
      — Vede che capisce e che si sente meglio? — gridò Mascotti contento.
      — Ha la febbre ma lieve, — disse Frontini rivolto ad Alfonso. — Deriva probabilmente dalla stanchezza e dal dispiacere. Le garantisco che non è cosa seria. Adesso mi pare che stia molto meglio.
      Era dunque ammalato e si sorprendeva di non essersene accorto prima. Aveva la febbre che continuava con brividi alla schiena, tutto il corpo caldo e asciutto, una tendenza a ridere nelle mascelle. Non era disaggradevole come non erano stati disaggradevoli i sogni ch'essa gli aveva dati.


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Una vita
di Italo Svevo
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