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      Sembrava un campo oblungo su cui l'aratro avesse fatto i solchi lunghi, regolari. Era diviso da una sola viuzza che conduceva a una piccola cappella posta rimpetto all'ingresso.
      La tomba del vecchio Nitti era vicina all'entrata, ma per due file di tombe distante dalla via divisoria. Per arrivarci, Alfonso dovette camminare su quelle tombe. Giunse dinanzi a un sasso levigato con suvvi il nome del medico e gli anni della sua nascita e della morte. Quante lagrime Alfonso non aveva sparse su quella tomba! Quanto semplici e quanto vivaci erano stati i suoi sentimenti alla morte del padre!
      La sera prima della partenza, Giuseppina gli raccontò che Faldelli l'aveva presa al suo servizio e che le aveva descritto quanti mutamenti egli volesse fare nella casa. Il nuovo padrone avrebbe utilizzata quell'abitazione meglio di quanto non avessero saputo fare i Nitti. Intanto la parte che i Nitti avevano completamente abbandonata doveva essere per lui la più utile: — Nelle mani di costoro, — aveva detto a Giuseppina, — questo era un capitale morto. — Ciarlava volontieri dei suoi piani come tutti gli uomini intraprendenti.
      Alfonso venne quasi cacciato dalla casa. Alla mattina alle quattro lo svegliò il Faldelli in persona e lo avvisò che gli avrebbe permesso di continuare a dormire e che veniva soltanto a chiedergli di poter accatastare in quella camera tutti i mobili che c'erano nella casa. Alfonso si alzò e prima di recarsi alla stazione stette per una mezz'ora a guardare gli operai che trasportavano in quella camera dei mobili ch'egli neppure rammentava che più esistessero.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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