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      Alfonso ebbe il triste sentimento che quel tempo non avesse più a cessare. Non erano nubi distinte su quel cielo, ma fino all'orizzonte un solo strato grigio sucido.
      Stava per uscire dalla stazione quando venne fermato da Prarchi accorso correndo e che nella fretta, quantunque si trovasse al coperto, aveva dimenticato di chiudere l'ombrello.
      — Hai visto Fumigi?
      — Io no!
      — Che sia già arrivato? — e lasciò Alfonso per andare a parlare al capostazione.
      Ritornò ad Alfonso che non aveva compreso come tanto presto il capostazione avesse potuto dare notizie di un singolo passeggiero.
      — Non arriva oggi! E lei che cosa fa da queste parti?
      — Arrivai or ora! — rispose Alfonso stupefatto che non si sapesse della sua lunga assenza.
      — Ah così! — Poi anch'egli dolente di dimostrare tanta ignoranza dei destini di Alfonso, volle correggersi. — Sono tanto distratto io! Se sapevo ch'ella era assente! Me lo avevano detto Macario e Maller.
      S'incamminarono. Attraversarono la piazza e infilarono la via Ghega che s'internava nella città da quella parte compatta, circoscritta. Con pochi passi si arrivava alle vie maggiormente abitate.
      — In lutto? — chiese Prarchi con sorpresa che riteneva legittima.
      — Sì, per la morte di mia madre.
      Prarchi gli fece le sue condoglianze, poi, seccato di non saper parlare a tono, volle congedarsi. Ma Alfonso aveva troppo grande desiderio di udire al più presto notizie di casa Maller e gli offerse di accompagnarlo da qualunque parte si fosse diretto.
      Poi, vedendo che Prarchi rimaneva muto, gli raccontò che da oltre un mese era assente dalla città e che nessuno si era curato di dargliene notizie; lo pregava intanto di voler raccontargli se qualche cosa di nuovo fosse accaduto ai singoli membri del club del mercoledì. Abilmente faceva credere che quelle non erano che parte delle notizie che gli premevano, mentre con una sola parola Prarchi avrebbe potuto togliergli ogni altra curiosità.


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Una vita
di Italo Svevo
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