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      — Oh! poche parole! — disse Gustavo a bassa voce. Dichiarò che a lui non piaceva affatto quel grande dolore di Lucia per un uomo che non lo meritava. — Qui gatta ci cova! — disse abbassando ancora minacciosamente la voce. — Non è naturale che per l'abbandono di un aborto simile Lucia si rammarichi. — Dichiarò che a lui parlava come ad un fratello. Supponeva che Lucia per troppa fiducia si fosse data a Mario Gralli. — Ma io l'ammazzo, e se anche mi costasse la galera. — Si ripeté a voce più alta: — Io l'ammazzo se abusò in tale modo della nostra fiducia.
      Alfonso aveva compreso, ma l'unico suo desiderio fu che Gustavo al più presto si allontanasse. Ragionava però ancora e si sentì in dovere di protestare a nome di Lucia.
      — Lucia è una ragazza dabbene e tu hai torto, — disse senza sollevare la testa dal guanciale.
      — Dabbene? — gridò Gustavo — ma è una ragazza e debole quindi.
      Dal tinello si udì un grido e poi il rumore di un pianto affannoso. Alfonso sentì la voce della signora Lanucci dapprima bassa: si capiva che voleva tranquillare Lucia, poi più alta: chiamava Gustavo. Costui uscì e chiuse dietro di sé la porta. Poi Alfonso li udì discutere accanitamente, una voce cercava di soffocare l'altra mentre li accompagnavano i singhiozzi di Lucia deboli e continui. Questi tutto ad un tratto cessarono e Lucia parlò con voce limpida, scandendo le sillabe, battendo su singole parole: Giurava o prometteva. Tutto ciò non giunse a scuotere Alfonso dal suo torpore; si sentiva tanto debole e tanto indifferente che credette il tutto non fosse altro che suggestione della febbre che di nuovo lo avesse afferrato.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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