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      Meravigliato egli stesso, si chiedeva talvolta se sulle proprie qualità non si fosse ingannato e se quella vita non fosse precisamente la più adatta al suo organismo. La sua antica abitudine di sognare rimaneva la medesima, da megalomane, ma evocava fantasmi ben differenti. Quando allora sognava si attribuiva tratti di diligenza straordinaria i quali necessariamente dovevano venir lodati da Sanneo e dalla direzione. Dovevano essere tratti di diligenza che salvavano la banca dalla rovina.
      In seguito alla sua attività, anche per altre ragioni, si sentiva meglio al suo posto. Se anche non come sognava, Sanneo lo aveva lodato, ciò ch'era già molto in confronto ai modi che il capo usava di solito con gl'impiegati per non guastarli con lodi. Ebbe per Alfonso dei riguardi in lui del tutto inusitati. Diede ordine al piccolo Giacomo di servirlo e di correre per lui per la banca a cercare i documenti necessari o i copialettere di cui abbisognava. Alfonso gliene fu grato sommamente perché odiava più che mai quelle lunghe ricerche, lavoro di cui non restava traccia e del quale quindi la direzione nulla poteva sapere.
      Senza le ire che gli avevano apportato le ricerche inutili, la sua vita divenne anche più tranquilla. Durante la giornata parlava poco e sempre con le solite persone. Sulla via si sentiva a disagio e non la passava che correndo per portarsi all'ufficio o a casa.
      Si trovava, credeva, molto vicino allo stato ideale sognato nelle sue letture, stato di rinunzia e di quiete. Non aveva più neppure l'agitazione che gli dava lo sforzo di dover rifiutare o rinunziare.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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