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      Lucia piangeva di spesso e talvolta a provocare le sue lagrime bastava che la madre le rammentasse il suo dolore rimproverandole d'essere triste e trascurata. Poi, di solito, vedendola piangere, prima di commoversi con lei, la signora Lanucci la sgridava, dichiarava che Gralli non meritava lagrime e ch'era un gobbo imbecille. Lucia stessa non faceva un segreto della causa del suo dolore; non ne aveva mai parlato dinanzi ad Alfonso, ma non aveva avuto il coraggio di protestare quando altri ne parlava.
      Non era possibile di consolare quella poveretta? Volle provarvisi. Le si sedette accanto e le parlò con grande dolcezza, con l'accento della sincerità, e ben presto commosso gli parve che la fanciulla dovesse seguirlo all'altezza a cui tentava di portarla, e che la salita dovesse esserle resa facile dal sentimento da cui egli si sentiva invaso.
      Le parlò delle sue lunghe osservazioni sulla vita e come avesse trovato ch'erano sciocche le nostre gioie e sciocchi i nostri dolori. Le rammentò gl'insegnamenti che certamente i preti e i maestri avevano dato anche a lei! La vita aveva il suo valore per tutt'altra cosa che per quella per cui il volgo l'amava. I preti dicevano questa verità troppo freddamente e perciò non veniva creduta, ma era vera, profondamente vera. All'accorgersene ch'era così, le raccontò, egli aveva provata una grande sorpresa. Non era retorica dei preti e dei maestri quella, era verità! L'equilibrio nella nostra vita, un'esistenza laboriosa, per quanto con scopi modesti, valeva più che tutte le felicità che potevano dare la ricchezza e l'amore.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Lanucci Gralli Alfonso