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      Era bene sapere finalmente i moventi direttivi di quell'organismo che ogni giorno gli aveva apportato delle sorprese. Conoscendoli egli ora poteva risparmiarsi altre deviazioni da quella via che la natura gli aveva imposta: una via aggradevole, facile e senza meta.
      Volle essere più rassegnato nelle posizioni false e dolorose in cui gli toccò di trovarsi ancora di spesso. Non che riconoscesse di venir giustamente punito, ma si confortava col pensiero che ben presto lo si sarebbe dimenticato e che da parte sua più mai non avrebbe compromessa la propria pace.
      Prarchi desiderò ch'egli vedesse Fumigi e lo pregò di andare con lui una mattina al caffè della Stazione ove il povero ammalato passava il suo tempo a copiare giornali. Gli fece vedere uno scritto di Fumigi, documento prezioso ch'egli portava con sé. Era un margine staccato da qualche giornale, riempito da segni con matita fatti con forza fino a stracciare la carta. Alcune lettere erano in stampa e capovolte, altre fatte in corsivo, ma la loro forma era soltanto approssimativamente giusta, mentre le stampate erano copiate con esattezza.
      Bisognò risolversi di andare a vedere l'ammalato. Prarchi ci teneva come se la malattia fosse stata opera sua e Fumigi una bestia educata da lui; dimostrando di apportarvi poco interesse Alfonso temeva di offenderlo.
      Quando una mattina si trovò avviato con Prarchi verso il caffè, costui gli comunicò che probabilmente ci avrebbero trovato anche Macario, il quale ogni giorno faceva una visita a suo cugino.


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Una vita
di Italo Svevo
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