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      Il Lanucci disse che gli sembrava che Gralli gli avesse detto qualche cosa anche per scusare la sua assenza ma che non se ne rammentava.
      La scusa data dal Gralli al Lanucci e taciuta da questo fu compresa con facilità da Alfonso alla sera allorché uscì dall'ufficio. Sul Corso lo fermò Gralli che lo aveva di sicuro atteso espressamente ma che non voleva averne l'aria. Era amichevole molto ma si capiva che aveva il pensiero altrove, a cercare parole per dire cosa molto difficile.
      — Come sta?
      Fra di loro non avevano nulla da parlare fuori della cosa che stava tanto a cuore a Gralli. Dopo di aver risposto seccamente alla domanda fattagli e atteso inutilmente che l'altro si risolvesse a esporre il motivo per cui lo aveva atteso, Alfonso, impaziente e seccato di dover camminare per il Corso in sua compagnia, gli chiese che cosa da lui desiderasse così che a Gralli non fu concesso di preparare il suo discorsetto come avrebbe desiderato.
      Gralli lo pregò di seguirlo fuori del viavai della gente e si diressero verso la fontana. Lo scirocco aveva reso più mite la temperatura e l'aria tiepida aveva chiamato dalle case molta gente.
      — Oggi parlai col vecchio Lanucci e mi disse ch'egli non sa nulla della dote promessa... — Parlava lentamente per dar tempo all'altro di abituarsi alla sua diffidenza e di scusarla, ma in dieci parole aveva già espresso tutto.
      — E che importa che il vecchio Lanucci ne sappia? Quando ho promesso io, basta! — gridò Alfonso infuriato capacissimo di far credere a Gralli ch'egli aveva desiderato che i Lanucci nulla sapessero del suo dono.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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