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      Ora che sapeva che non c'era più pericolo che i beneficati ignorassero il suo sagrificio si sentiva bene ad agire come se avesse voluto celarlo.
      Quell'egoista, come Alfonso lo chiamava, fu più sincero di lui.
      — Di Lucia non m'importa, — disse con ingenuità; — gli altri, se non vogliono essere sciocchi, devono comprendere che io faccio precisamente quello che debbo fare. Senza di questa dote io non potevo sposarla! — Asserì anche che andava in casa Lanucci senza timori perché dal momento che lo vedevano entrare, per quanto l'avessero con lui, i loro volti si rischiaravano.
      — Mi vogliono bene, — disse con malizia.
      Eppure non parve che quella sera l'avessero accolto troppo bene perché quando giunse Alfonso trovò ch'egli se ne era già andato e che tutta la famiglia, indizio di grande malumore, s'era coricata. Alfonso provò della delusione al vedere che neppure in quello stesso giorno la gratitudine dei Lanucci fosse stata tanta da indurli ad attenderlo per salutarlo.
      Lucia lo aveva atteso ma chiusa nella sua stanza, non s'era accorta ch'egli era rincasato. Egli aveva già abbandonato il tinello e stava per coricarsi, allorché sulla porta si presentò la fanciulla.
      — Mi permette? — chiese con timidezza a lei insolita e abbozzando un sorriso. — Vengo per ringraziarla. Mamma sa che ho da venire; anzi ho da ringraziarla anche in nome suo.
      S'interruppe e si mise a piangere dirottamente. Pareva la continuazione di un pianto soffocato poco prima perché le lagrime non esitarono un solo istante a trovare la via.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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