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      — Ancora una rinunzia! — si disse sorridendo e la parola gli richiamò alla mente lo stato in cui s'era trovato pochi giorni prima. Era bastato tanto poco per farnelo uscire! Maller aveva spiegato l'antipatia di cui del resto aveva dato già prima dei segni non dubbi; non era avvenuto null'altro di nuovo!
      Egli si coricò tutto sorpreso che finalmente gli fosse riuscito di quietarsi da sé con un freddo ragionamento. Dormì profondamente e fece un sogno fantastico come non ne aveva più fatti dalla sua infanzia. Cavalcava per l'aria su travi di legno, camminava a piede asciutto sull'acqua ed era signore di un vasto paese.
      Ma il giorno appresso gli accadde cosa per cui il ragionamento più non bastò a consolarlo; era una vera disgrazia che gli toccava e allora appena poté dirsi perseguitato.
      Alla mattina di buon'ora, come sempre, egli andò da Sanneo a chiedere le istruzioni per le lettere arrivate il giorno innanzi. Sanneo lo accolse con un sorriso imbarazzato, tenne dinanzi a sé il pacco di lettere guardandolo fisso non per vederlo ma per aver il tempo a riflettere. Con tono cortese pregò Alfonso che prima di ricevere le istruzioni andasse da Cellani che voleva parlargli.
      — Non sa che cosa voglia dirmi? — chiese Alfonso desideroso di potersi preparare alle comunicazioni di Cellani le quali egli già aveva indovinato importantissime.
      — Non lo so! — rispose Sanneo, — ma credo che in quelle stanze abbiano perduto la testa.
      Però egli sapeva benissimo di che cosa si trattasse perché, con la sbadataggine che metteva in tutti gli affari che non erano d'ufficio, lo pregò di consegnare a Bravicci il fascio di carte che aveva in mano.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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